L’intestino è il tratto del tubo digerente in cui avviene l’assorbimento delle sostanze nutritive. Si distingue in intestino tenue o piccolo intestino (duodeno, digiuno e ileo) e intestino crasso o grosso intestino (colon ascendente, colon trasverso e colon discendente-sigma). L’ultima parte del grosso intestino è il retto.

Alla patologia del retto è destinata una specifica sezione, per le peculiari caratteristiche, la dedicata e le diverse opzioni terapeutiche.

CHE COSA E’

Il tumore del colon origina, nella maggior parte dei casi, dalla degenerazione di polipi, piccole escrescenze della parete interna dell’intestino che non danno generalmente sintomi e si possono rilevare con la colonscopia.

Nei Paesi occidentali il tumore del colon rappresenta il secondo tumore maligno per incidenza nella donna, dopo il tumore della mammella, e il terzo nell’uomo, dopo polmone e prostata.

L’età di insorgenza è generalmente fra i 60 e i 75 anni. In Italia questo tumore colpisce circa 23.000 donne e 30.000 uomini ogni anno (dati Associazione Italiana Registro Tumori 2017) e l’incidenza è in aumento nella popolazione femminile.

I programmi di screening, la diagnosi precoce e il miglioramento delle terapie, sempre più personalizzate e mirate, sono considerati i fattori che negli ultimi anni hanno determinato un aumento delle diagnosi di tumore, ma anche una diminuzione della mortalità.

FATTORI DI RISCHIO

I determinanti legati allo sviluppo del tumore sono essenzialmente legati allo stile di vita, ad aspetti genetici e ad altre cause non ereditarie. Sono fattori estremamente comuni che non consentono di escludere nessuno dal rischio di sviluppare la malattia.

STILE DI VITA

Una dieta a base di grassi e proteine animali, con grandi quantità di carni rosse e di insaccatifarine e zuccheri raffinati, e povera di fibre contenute in frutta e verdura, che invece sembrano avere un ruolo protettivo, è associata a un aumentato rischio di sviluppare la patologia. Lo stesso dicasi per il fumo, e l’elevato consumo di alcolici.

Obesità e vita sedentaria costituiscono ulteriori fattori di rischio.

FAMILIARITÀ

È riconosciuto un fattore ereditario nella probabilità di ammalarsi di tumore del colon.

In particolare, il rischio è aumentato di due o tre volte nel caso in cui ne sia affetto un parente stretto o di primo grado (padre, padre, fratello o sorella), oppure in più parenti stretti all’interno della stessa famiglia. 

Altre condizioni che determinano un aumento del rischio sono la presenza in famiglia di malattie come le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l’adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e il carcinoma ereditario del colon su base non poliposica (detto anche HNPCC o sindrome di Lynch) che sono legate a specifiche alterazioni genetiche.

FATTORI NON EREDITARI

Sono importanti l’età (l’incidenza è circa 10 volte maggiore tra i 60 e i 64 anni rispetto ai 40-44 anni), il fumo, le malattie infiammatorie croniche intestinali (in particolare la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), la presenza di polipi del colon o di un precedente tumore del colon.

PREVENZIONE

Praticare una attività fisica regolare, evitare il peso in eccesso e la sedentarietà, curare una alimentazione equilibrata e varia, ricca di frutta e verdura, costituiscono fattori protettivi.

La diagnosi precoce (prevenzione secondaria) si attua con lo screening, indirizzato a uomini e donne al di sopra dei 50 anni di età. Il primo livello è costituito dalla ricerca del sangue occulto nelle feci, che va eseguito annualmente, procedendo, nei casi positivi, ad una colonscopia.

In caso di familiarità per neoplasia del colon retto la colonscopia è indicata a partire dai 45 anni oppure 10 anni prima dell’età della diagnosi del parente di primo grado. 

La colonscopia deve essere ripetuta a intervalli variabili da due a cinque anni. Si scelgono intervalli più brevi in caso di fattori di rischio (familiarità, presenza di polipi o malattie infiammatorie croniche intestinali).

Lo screening consente l’identificazione e quindi l’asportazione dei polipi (adenomi), prima che si trasformino in tumori (carcinomi).

SINTOMI

Generalmente la presenza dei polipi non dà sintomi; solo in una piccola percentuale dei casi (<5%) sono rilevabili piccole perdite di sangue, spesso non visibili, ma che possono essere dimostrate con l’esame delle feci per la ricerca del cosiddetto “sangue occulto“.

Il tumore del colon insorge in circa il 50% dei casi a livello del sigma; nel colon ascendente la localizzazione è meno frequente (25%); nel colon trasverso e in quello discendente la malattia si verifica circa il 20% dei casi.

I sintomi di allarme sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua dimensione e la presenza o assenza di ostruzioni o sanguinamento. Questa variabilità fa sì che le manifestazioni siano spesso simili a quelle di molte altre malattie intestinali, sebbene, generalmente, perdurino maggiormente, tali da divenire sospette nel tempo.

La presenza di una stitichezza ostinata, magari alternata a diarrea, deve costituire un primo campanello d’allarme.

Altri sintomi, vaghi e saltuari quali la stanchezza e la mancanza di appetito o altri più gravi come l’anemia e la perdita di peso, non devono essere trascurati.

DIAGNOSI

In caso di presenza di sintomi o di un esame del “sangue occulto” positivo è raccomandabile rivolgersi ad un medico per la prosecuzione dell’iter diagnostico.

La visita è essenziale per indirizzare il percorso diagnostico e si avvale del colloquio anamnestico, in cui il medico indagherà le condizioni predisponenti e le caratteristiche dei sintomi, e l’esame fisico.

Le indagini strumentali consentono di diagnosticare il tumore e di eseguirne la stadiazione, ovvero valutarne l’estensione e di conseguenza la gravità.

L’esame più specifico è la colonscopia che consente di esplorare visivamente l’interno dell’intestino e di eseguire una biopsia, con cui si può fare l’esame istologico, ovvero ricercare la presenza di eventuali cellule tumorali.

Una volta formulata la diagnosi, la TC (Tomografia Computerizzata) con mezzo di contrasto dell’addome e del torace consentono di valutare l’estensione del tumore stesso e la presenza o meno di metastasi a distanza.

Un paziente su tre, presenta metastasi epatiche già al momento della diagnosi, o, comunque, andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono collegati dalla circolazione sanguigna.

In casi particolari possono essere eseguiti altri esami di completamento. La colon-TC (o colonscopia virtuale) può essere utile nei casi in cui la presenza di una ostruzione non abbia consentito di esplorare completamente il colon oltre la stessa. Una RM (risonanza magnetica) del fegato, talvolta con mezzo di contrasto epatospecifico, può essere utile ad approfondire eventuali reperti dubbi emersi dalla TC. La PET può essere un esame da riservare a casi specifici e selezionati quando le indagini sopra riportate non siano state decisive.

Gli esami ematochimici completano lo studio e la ricerca dei marcatori tumorali contribuiscono a definire lo stadio del tumore. Il CEA (antigene carcino-embrionario) è utile per valutare la gravità della malattia, monitorare la risposta al trattamento farmacologico (nei casi in cui sia necessaria una chemioterapia) o per verificare la ripresa della malattia. Non sempre è affidabile in quanto non tutti i tumori del colon lo esprimono. Il CA 19.9, detto anche GICA, è un altro marcatore utile, anche se meno specifico perché più indicativo nel cancro del pancreas.

Esiste, inoltre, la possibilità di eseguire una analisi del profilo molecolare del tumore, ossia dei geni presenti nelle cellule e delle loro alterazioni. Questa analisi può servire a definire meglio la prognosi e la terapia: alcune alterazioni sono associate a un andamento migliore o peggiore della malattia e alla sensibilità ai farmaci.

COME SI CURA

La scelta del trattamento migliore e potenzialmente migliore, si definisce attraverso un approccio multidisciplinare. Un team formato da chirurgo, oncologo e radiologo, con il supporto variabile di altre figure, come l’anestesista, il nutrizionista, il radioterapista, il gastroenterologo, ecc. formual, sulla base della storia clinica, delle caratteristiche del paziente, degli esami diagnostici eseguiti e della evidenza scientifica, un percorso terapeutico che può avvalersi di diversi specialisti e di diversi interventi terapeutici integrati o successivi, in diverse fasi.

CHIRURGIA

Il trattamento del tumore del colon prevede, comunemente, come primo elemento, la chirurgia. La tipologia dell’intervento dipende dalla localizzazione e dallo stadio del tumore. Un intervento chirurgico oncologicamente adeguato, generalmente si compone delle seguenti fasi:

  • LEGATURA VASCOLARE CENTRALE – legatura e interruzione dei vasi sanguigni che alimentano il tratto di intestino nel punto più vicino possibile alla loro origine dai grossi vasi addominali;
  • LINFOADENECTOMIA – asportazione di un numero di linfonodi sufficiente a definire lo stadio di malattia;
  • RESEZIONE – rimozione del tratto di intestino interessato dal tumore con un margine sano adeguato a monte e a valle;
  • ANASTOMOSI – collegamento dei monconi interrotti dell’intestino in modo da ripristinare il transito delle feci.

In considerazione della sede del tumore gli interventi chirurgici più comuni sono:

  • emicolectomia destra: asportazione della parte del colon ascendente, compresa l’appendice e l’ultimo tratto di piccolo intestino;
  • resezione del colon trasverso: asportazione del colon trasverso, generalmente eseguita per i tumori del colon trasverso verso la flessura colica sinistra;
  • emicolectomia sinistra: asportazione del colon discendente e del sigma;

In base alla localizzazione o al numero dei tumori o alla presenza di fattori particolari possono essere eseguiti interventi più estesi, come la colectomia subtotale o totale.

In alcuni casi, ad esempio in caso di interventi eseguiti in urgenza, o in presenza di una ostruzione dell’intestino in cui si sia verificata una grossa dilatazione del colon, può essere opportuno non procedere alla esecuzione della anastomosi e confezionare una stomia (colostomia o ileostomia), che consiste in una deviazione temporanea o definitiva delle feci, che possono venire eliminate attraverso una breccia nella parete addominale anteriore cui viene applicato un sacchetto di raccolta.

E’ preferibile eseguire l’intervento chirurgico con la tecnica mininvasiva (laparoscopia o robotica) in tutti i casi in cui non sia controindicata per fattori legati alle condizioni generali o a patologie concomitanti.

Le uniche CONTROINDICAZIONI alla laparoscopia sono:

  • occlusione, con dilatazione delle anse intestinali che determinerebbe un rischio di perforazione o di impossibilità tecnica di condurre l’intervento;
  • patologie cardiache o respiratorie gravi per cui lo pneumoperitoneo (l’aria che viene insufflata in addome, necessaria all’esecuzione dell’intervento) provocherebbe rischi intraoperatori a giudizio dell’anestesista.

I VANTAGGI della laparoscopia sono:

Chemioterapia

La chemioterapia consiste nell’impiego di farmaci detti citotossici o antiblastici, che hanno la funzione di bloccare la crescita e la divisione delle cellule tumorali. La chemioterapia può essere somministrata prima e dopo la rimozione chirurgica del tumore.

La chemioterapia neoadiuvante viene somministrata prima dell’operazione per ridurre le dimensioni del tumore e facilitarne la completa rimozione chirurgia.

La chemioterapia adiuvante viene praticata dopo l’intervento e ha lo scopo di ridurre le probabilità di recidive perchè distrugge eventuali cellule tumorali residue.

Radioterapia

La radioterapia consiste nell’utilizzo di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali, cercando di danneggiare il meno possibile le cellule sane. È utilizzata per i tumori del retto, ma normalmente non si applica per il trattamento di quelli del colon, se non per alleviare la sintomatologia in rari casi.

Può essere somministrata prima della chirurgia per ridurre le dimensioni del tumore, che potrà essere così asportato più facilmente, diminuendo anche il rischio di recidiva. Altrimenti, verrà impiegata in seguito se il chirurgo ha incontrato difficoltà a rimuovere interamente il tumore. Se la malattia si è ormai diffusa o nei casi di recidiva, soprattutto con interessamento della regione pelvica, la radioterapia può essere utile per ridurre le dimensioni della lesione e per alleviare i sintomi, incluso quindi il dolore.

Terapia ad anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali sono sostanze che riconoscono e si legano ad altre proteine (recettori), presenti soprattutto nelle cellule tumorali, e ne inibiscono l’attività. Nel caso di mutazione del gene KRAS, questi farmaci devono essere combinati con la chemioterapia: se somministrati da soli, risultano poco efficaci. Il trattamento con  gli anticorpi monoclonali può determinare alcuni effetti collaterali come: reazioni allergiche seguite da sintomi simil-influenzali, calo di pressione o nausea, eruzione cutanea, stanchezza.

In alcuni casi, la prima dose del trattamento si somministra nell’arco di diverse ore, a volte insieme a qualche altro preparato per prevenire la comparsa, o ridurre l’entità, di eventuali effetti collaterali.
Gli anticorpi monoclonali anti-EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor: recettore del fattore di crescita epidermica) e anti-VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor: fattore di crescita vascolare endoteliale), sono impiegati nel trattamento del tumore del colon retto (e di altre neoplasie). Entrambe le tipologie di anticorpi agiscono contrastando l’effetto di particolari fattori di crescita.